Domenica 5 febbraio ci ha lasciato Jacopo de Grossi Mazzorin. Professore di archeozoologia, bioarcheologia e storia dell’alimentazione all’Università di Lecce per più di vent’anni, era stato tra gli animatori del gruppo informale degli archeozoologi italiani (GIAZI) da cui nel 1993 nacque la nostra Associazione Italiana di ArcheoZoologia.
Dell’associazione Jacopo era stato ripetutamente membro del consiglio direttivo e infine presidente per due mandati consecutivi.
Chi fosse Jacopo lo sappiamo tutti e se ne ripercorro qui, brevemente, il curriculum come archeozoologo è solo a futura memoria. Sono infatti note a tutti le sue doti di infaticabile studioso: la lista delle sue pubblicazioni è molto lunga e comprende studi importanti su ogni epoca dell’antichità, dal Neolitico all’età medievale e moderna, a conferma della sua versatilità e capacità di applicare il metodo a una moltitudine di problemi diversi.
Aveva una conoscenza impareggiabile delle fonti letterarie e iconografiche che utilizzava con grande competenza nella lettura e interpretazione del dato archeozoologico. Autore di un fortunato manuale universitario di archeozoologia, convenzionalmente chiamato “Il de Grossi”, su cui si sono formate due generazioni di giovani studiosi, aveva una scrittura chiara e precisa che rifletteva il suo eloquio misurato e attento.
Quella di Jacopo era quindi una figura di studioso di grande valore. Aggiungerei, per come l’ho conosciuto, che era anche capace di circondarsi di persone capaci ed esse stesse di grande valore, con le quali ha dato vita a Lecce a un laboratorio di archeozoologia tra i migliori d’Italia.
Ho potuto personalmente constatare come quel laboratorio fosse animato da molti studenti che avevano nei confronti del loro professore una stima e un attaccamento sinceri. Gli studenti di Lecce erano affettuosamente definiti da Jacopo “i coccarelli”, e questo dice qualcosa dell’affetto che Jacopo provava per loro e dell’attenzione che gli riservava. Esso si traduceva in un clima di familiarità e amicalità che caratterizza un gruppo fortissimo dal punto di vista scientifico.
Jacopo era un uomo aperto e sincero, simpatico e capace di attrarre le persone con semplicità e franchezza. Nonostante la sua autorevolezza e il rispetto che tutti gli tributavano, Jacopo è sempre stato, nei trent’anni della nostra amicizia, soprattutto un uomo leggero, facile all’ironia e incline allo smascheramento delle pose accademiche. Era leggero come sono leggere le persone che sono in pace con sé stesse e con gli altri, e non hanno debiti da pagare né crediti da esigere. Ma che non abbia raggiunto l’ordinariato è qualcosa che grida vendetta.
Jacopo aveva una risata fragorosa ed era un formidabile provocatore e seccatore, cosa che generava una infinità di situazioni comiche ed esilaranti. Dio lo benedica per le molte risate che abbiamo fatto insieme.
La leggerezza di cui parlavo è la stessa che troviamo nell’associazione. Anche noi, senza debiti né crediti, da sempre ci permettiamo il lusso del divertimento in un contesto al quale, non di meno, nessuno può negare rigore, serietà e autorevolezza. Che tutto ciò che caratterizza in tal senso l’associazione sia stato costruito anche, e forse soprattutto da Jacopo, per me è una certezza.
Nel bel ricordo che ne ha tracciato la professoressa Claudia Minniti, sua allieva e collaboratrice e infine collega all’Università di Lecce, si ricorda la sua capacità di dare importanza alle cose che contano per un uomo. Esse sono la famiglia, la moglie, i figli, di cui parlava sempre con orgoglio, mostrando il necessario equilibrio che deve esistere tra la sfera degli studi e quella che potremmo definire “realtà”.
Molti, appresa la triste notizia della sua morte, gli hanno augurato che la terra gli sia lieve. Ma la terra, a Jacopo, sarà lieve senz’altro: glielo deve per l’acerba ingiustizia del suo destino, per la vita troncata anzitempo. Ma a noi? E prima di tutto: a Monica, ad Agnese e Daniele? E a Claudia?
La terra è lieve a chi ci lascia ma schiaccia nel dolore chi resta. E così quell’augurio di levità, alla fine, non è rivolto che a noi, cui tocca accettare che la terra senza Jacopo sia quella di prima. E non è.
Umberto Tecchiati
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